Biografia

L’estro di Raffaele Pecci prende forma nello studio del pittore romano Romeo Mesisca, allievo di Renato Guttuso, dal quale eredita la potente espressività del colore.
Nel 2014 l’apertura a Roma di uno spazio personale: è l’inizio di un nuovo metodo artistico che Pecci sperimenta a stretto contatto con la tela, la quale diventa il sudario di una, cento, mille emozioni di persone diverse. Una visione che lo conduce nel 2015 al progetto “Sistema Emozione” presso la Flyer Art Gallery di Roma. L’intento è di collettivizzare l’emozione: i visitatori sono invitati a descrivere un’emozione da abbinare ad almeno tre colori. Attraverso sporadiche ma istintive informazioni, Pecci realizza dei “ritratti emotivi”, in seguito riconosciuti dalle loro figure genitrici. Si instaura una sorta di gioco tra le parti, in cui dato emotivo è essenza empatica cromatica.
Le emozioni altrui sulla tela diventano specchio di autoanalisi, di ricerca approfondita di un processo creativo intimamente vissuto e accettato quale proprio.

Pecci approda così al “Momento”, ovvero quel lasso di tempo in cui il processo creativo nasce, si sviluppa e infine termina. La ricerca procede di pari passo con la sperimentazione di nuovi linguaggi, tra cui sculture, installazioni e performance.

Il 2016 è l’anno della “consacrazione espositiva”: Pecci partecipa – tra le altre – alla collettiva di Galleria Farini a Bologna, a Spazio Ginko a Roma, alla Biennale del Fumetto nell’Arte a Milano.

Nel 2017 la prima personale a Roma presso l’ex Orfanatrofio della Marcigliana: ciò che era già emerso nelle precedenti collettive qui raggiunge un nuovo livello di comunicabilità che mette un punto fermo all’arte di Raffaele Pecci. La personale infatti si propone di abbattere i canoni classici dell’esposizione, o meglio i prerequisiti necessari alla sua realizzazione. In una vena polemica, lo scenario di “#253.1” diventa desolante e desolato, in cui si instaura un dialogo straniante tra le opere e l’ambiente circostante; non ci sono spettatori, ma istantanee fotografiche alla David Lynch ed un video che lasciano traccia dell’avvenuta mostra.

Da questa iniziativa il rapporto di Raffaele Pecci con l’arte e il processo creativo cambierà per sempre proiettando l’artista all’interno di una dimensione in cui sviluppare la sua ricerca: il Cubo.
Nel 2018 la personale a Roma dal titolo “#239”, presso lo studio Iuris Hub; le strutture non figurative dei Momenti ristabiliscono un contatto diretto e sovversivo con il pubblico. Nello stesso periodo nasce una nuova poetica che si sviluppa parallelamente ad un’inedita sperimentazione dell’elemento musicale e video:
Sono trascorsi all’incirca 20 mesi dall’inizio del progetto che in principio era solo un “motivetto” e che con il tempo si è evoluto in un testo ed una canzone; successivamente le immagini che nella mia mente accompagnavano tale canzone si sono trasformate in uno storyboard ed infine in un video di cui ho curato personalmente la regia.

Ora tale progetto è custodito all’interno di una “struttura” realizzata appositamente per conservare quel tempo trascorso dall’inizio della mia “carriera artistica” sino ad oggi…ma soprattutto per mostrare cosa sono costretti a subire gli artisti emergenti nella scena (o retroscena) dell’arte a loro riservata!
Con queste parole l’artista, durante la sua personale presso la Tevere Art Gallery di Roma nel 2019, ha dato il via alla proiezione dell’opera video N°39; un’opera concepita come una struttura al cui interno è conservata la linea temporale che va dall’inizio della sua carriera artistica fino al momento in cui l’opera stessa è stata conclusa.

Dopo la realizzazione del Momento n°39, Pecci si rende conto di aver raggiunto l’obbiettivo della sua ricerca ovvero conservare “fisicamente” le varie fasi del processo creativo all’interno di un’opera.
La conclusione della sua ricerca sui Momenti coincide con l’inizio di una nuova poetica, le cui opere prendono il nome di Disturbi:
Nelle arti figurative il concetto di astratto assume il significato di non reale ovvero non appartenente alla realtà così come noi la conosciamo; l’arte astratta in definitiva crea immagini che esulano dalla nostra esperienza visiva.
Presupponendo a questo punto l’esistenza di una dimensione in cui queste immagini siano tangibili e si riuscisse ad aprire una finestra per osservarle, come risulterebbe tale visione? All’interno del Cubo la fase creativa si concretizza in uno spazio dove poter esprimere contenuti propri nella libera composizione di linee, forme, colori, senza imitare nulla di ciò che esiste ed è proprio questo luogo a fare da tramite, attraverso un’apertura, tra la nostra dimensione e quella in cui risiede l’astratto; data la complessità nel poter solo concepire la presenza di diverse realtà, affacciandoci a tale finestra non possiamo far altro che avere una visione disturbata di ciò che si trova al di là della stessa.